La Treccani definisce la parola Prègo! come «la prima persona del presente indicativo di pregare, usata come formula di cortesia per rispondere a persona che ringrazia: «Molte grazie» «Prego!», o chiede scusa: «Mi scuso per il ritardo» «Prego!», o per invitare ad accomodarsi, a entrare, a sedere, a uscire: s’accomodi, Prego!; a prendere cosa che si offre e sim.: ne prenda ancora, prego!; anche prego?»
In generale, la parola «Prego» è utilizzata per rispondere alla parola «Grazie».
Dunque, al momento dell’accoglienza del paziente al banco, il pronunciare la parola «Prego!» implica indirettamente che il paziente abbia pronunciato la parola «Grazie».
Il paziente dice «Grazie» e il farmacista risponde «Prego!».
La parola “Grazie”, come è noto, viene pronunciata solitamente quando si riceve un favore.
Anche qui è utile citare la Treccani che riporta il seguente significato della parola «Grazie»: «È propriamente il plurale di grazia, usato per ringraziare qualcuno, per esprimere la propria gratitudine»
Visto quanto sopra ne consegue che, al momento dell’accoglienza di un paziente al banco, pronunciare la parola «Prego!» equivale inconsciamente a fargli intendere che gli si stia facendo un favore e dunque per questo si lascia sottintendere che lui abbia detto o debba dire la parola «Grazie!», per poter essere accolto.
Tuttavia, le cose purtroppo non stanno del tutto così.
Mi spiego.
Negli anni lo scenario in cui opera il farmacista territoriale è cambiato: Storace, Bersani, Monti, il ddl Concorrenza…
Il professionista che tutti ricordavano, insieme al parroco, al sindaco ed al maresciallo dei carabinieri, non è più l’unico «portatore di salute» sul territorio.
Ai luoghi in cui opera il farmacista si aggiungono una miriade di canali alternativi a cui il paziente/cliente/utente può accedere, online e offline, in loco o al domicilio, in sostituzione di un professionista abilitato e qualificato.
Ciò è vero sia per la parte salutistica, tra cui farmaci e parafarmaci, ma anche per la parte legata alle dinamiche del consumo, vale a dire quei prodotti un tempo appannaggio di farmacie e parafarmacie ma che oggi, per scelte commerciali, sono fuori dal canale.
Con la risultante che gli ingressi dei pazienti nei luoghi dove opera il farmacista si riducono ogni giorno sempre di più.
Visti i venti poco o per niente favorevoli che soffiano sul settore è dunque il farmacista per primo a dover ringraziare il paziente, al momento del suo ingresso nell’attività.
Il farmacista deve ringraziare il paziente in primo luogo per aver scelto di entrare in quella determinata attività, per acquistare un prodotto che avrebbe sicuramente potuto trovare altrove.
Deve esprimere gratitudine, inoltre, anche perché il paziente, alla ricerca di un consiglio professionale, ha creduto – e crede ancora – nel farmacista come professionista di riferimento, designandolo come «figura dedita alla risoluzione di una problematica», e dunque riconoscendo il suo valore sul territorio.
L’accoglienza del paziente al banco con il termine «Prego!» appartiene ad un paradigma appannaggio di altre epoche.
La parola «Prego!» dunque andrebbe cancellata dal vocabolario, o quantomeno trasformata in qualcosa di più armonico, che riconosca al paziente gratitudine per aver scelto di entrare in una determinata attività.
Per fare ciò, si possono utilizzare diverse frasi, che nessuno si aspetterebbe mai di sentire, né nei canali in cui opera il farmacista, né in qualsiasi altra attività.
Tra questi:
- In che modo/come posso aiutarla?
- Cosa posso fare per lei?
- Si accomodi pure
- Si avvicini
Fino poi ad utilizzare altre modalità che costituiscono vere e proprie fonti di inestimabile valore per l’avvio di un processo comunicativo bidirezionale e da cui si dipana l’intero universo sul quale costruire una connessione basata sullo scambio di conoscenze:
- Come sta?
- Come va?
- Che si dice?
Insomma, domande aperte.
È utile ricordare che il farmacista ha sempre avuto nel proprio Dna la cultura dell’accoglienza, ed ha continuamente, ed incondizionatamente, preso in carico tutti coloro con cui si è interfacciato.
È necessario cambiare il paradigma su come si sono viste le cose fino a questo momento.
Ciò per poter mantenere il ruolo storico che si è avuti sul territorio, ma anche per creare un’azione differenziante tale da invogliare il paziente a sentirsi accolto e dunque tornare nel luogo della salute che lui ha prescelto.
Prego è la modalità per sbrigare una pratica e non per accogliere una persona che per lo più è un cliente ,
cioè uno che ci da il nostro stipendio.
Caro Alfonso
Hai inquadrato bene la problematica: l’accoglienza di una persona che garantisce l’esistenza in vita dell’attività territoriale attraverso il “pagamento del nostro stipendio”.
Un abbraccio!