Nell’arte di interpretare il mondo, esiste un limite difficilmente valicabile che è proprio quello dell’interpretazione stessa. L’atto della lettura, lungi dall’essere oggettiva esecuzione di un insieme appreso di passaggi che da grafema conducono a fonema e significato, porta con sé un carico inevitabile di esperienze, conoscenze pregresse e, in ultima analisi, di pregiudizio.
Prima che qualcuno se e me lo chieda, sì, ricordo bene di stare scrivendo un articolo rivolto a farmacisti e non a esegeti biblici. Ma non è assolutamente distante da ciò che un ermeneuta attua sugli scritti che analizza, ciò che si chiede durante l’esercizio delle sue funzioni a un bravo farmacista. Con la sola differenza che i caratteri da leggere non sono stampati su carta, ma rispondono all’appellativo di pazienti, o clienti se preferite, ma prima di tutto, persone.
Nell’approccio col pubblico è fondamentale, quando si compie il famoso e famigerato salto di qualità, utilizzare tecniche e competenze che consentano di leggere oltre la mera richiesta formulata a parole e arrivare a un livello profondo di interpretazione di esigenze e richieste.
A tutti sarà capitata la persona in evidente sovrappeso che entra in farmacia chiedendo un prodotto per il gonfiore addominale. A quel punto, la scelta da compiere è se fornire con poca fatica l’ultimo ritrovato che porta in bella vista il corrispondente claim o provare, con alcune domande aperte, a indagare su eventuali richieste sottese, più o meno consapevolmente.
Alla stregua dell’ermeneuta di cui sopra, il farmacista illuminato scoprirà se questa richiesta specifica è fine a se stessa o foriera di altre necessità. Nel caso specifico, si potrebbe trattare di una persona che vorrebbe perdere peso o di una donna che ha visto cambiare il suo corpo in corrispondenza di variazioni ormonali, ad esempio, e che parte dal sintomo che le dà più disagio per cominciare a prendersi cura di sé o a lanciare un timido segnale di richiesta di aiuto.
Questo esempio, seppur semplicistico, ci porta dentro a una nuova dimensione, all’interno della quale il banco – che invito sempre a superare fisicamente laddove possibile – diventa un porto di approdo per persone con una difficoltà anche di centrare il problema stesso.
D’altro canto, quando si diventa bravi e in qualche modo allenati a gettare lo sguardo oltre le parole, si corre il rischio di non ascoltarle più, quelle stesse parole, e di giungere ad affrettate conclusioni, convinti di sapere sempre cosa c’è dietro. In ogni caso, l’invito è di porre massima attenzione all’ascolto e all’osservazione dell’interlocutore, neutralizzando per quel che è possibile la tendenza al risparmio energetico, ovvero quelle generalizzazioni che, se da un lato ci semplificano la comprensione del mondo, dall’altro ci precludono una vera conoscenza dello stesso.
Perché magari la persona che abbiamo davanti e su cui stiamo facendo mille congetture ha davvero solo quell’esigenza che ci ha esposto o non ha assolutamente voglia di analizzarne altre e, appurato che il caso sia quello, è nostro compito rispondere con puntualità alla sua richiesta e congedarla con un sorriso e con il suo carbone vegetale.