Faccio una domanda ovvia per gli esperti, ma per nulla scontata se rivolta al farmacista, che notoriamente svolge la sua professione attraverso l’esercizio di un’impresa pur senza avere spesso la benché minima cognizione di cosa questo comporti. Non sono molte le professioni che si espletano attraverso un’azienda; non è il caso del notaio, dell’ingegnere, del commercialista, dell’avocato, del medico… ma il farmacista per definizione esercita la sua attività obbligatoriamente in farmacia. Un’azienda, è bene sottolineare, che ha un fatturato di tutto rispetto se paragonato a tante piccole imprese di altri settori merceologici.
Qual è questa domanda?
Ebbene, eccola servita: qual è la differenza e quindi a cosa servono separatamente il conto economico e lo stato patrimoniale che costituiscono la sintesi della contabilità annuale e, unitariamente, il bilancio dell’attività nel suo complesso?
Non è un quesito di poco conto, né un esercizio didattico atto a rimarcare limiti cognitivi dettati da una formazione universitaria del farmacista che va in tutt’altra direzione. Ma tant’è: la farmacia è un’azienda e come tale va gestita; le conoscenze di un titolare in tal senso costituiscono la sua patente di guida per viaggiare a lungo e in sicurezza.
E allora cerchiamo di dare una risposta, magari non esaustiva ma che aiuti ad orientarsi: nel conto economico misuriamo la nostra efficacia nello sviluppare i ricavi e la nostra efficienza nell’ottenerli senza sprechi sapendo che, come in un film che dura tutto un anno, non sempre le cose vanno come vorremmo ma abbiamo sempre la possibilità di far meglio in futuro, quando ad inizio anno riavvolgiamo la pellicola per partecipare da attori protagonisti ad una nuova storia.
Viceversa, nello stato patrimoniale fotografiamo altre dimensioni aziendali, e cioè tutto quanto può sintetizzarsi compiutamente in un fermo immagine, appunto, e non in un arco temporale. E così, nel mentre ha senso registrare ricavi e costi riferendoli ad un lasso definito, non si può fare lo stesso parlando delle scorte di magazzino, dei beni strumentali, della liquidità disponibile, dei crediti e dei debiti, che si possono valorizzare solo in momenti ben precisi, come può essere la data della fine di un esercizio.
Per l’appunto, il “film” e il “fotogramma” sintetizzano nel complesso tre dimensioni dell’attività di una qualsiasi impresa: la dimensione economica, quella finanziaria e quella patrimoniale. Se vogliamo occuparci della prima analizzeremo il conto economico, che ci dà notizia dei margini e dei profitti finali; ma se desideriamo impegnarci sulle altre due dimensioni allora studieremo lo stato patrimoniale e, scopriremo, che ad un’utile, sintomo di equilibrio economico (i ricavi superano i costi d’esercizio), non è detto che corrisponda un equilibrio finanziario (entrate e crediti superiore alle uscite e ai debiti) e neppure un equilibrio patrimoniale (il capitale proprio che quantitativamente sia significativo rispetto all’indebitamento nel suo complesso).
Si può dunque guadagnare ed essere al contempo a corto di liquidità, proprio perché l’utile prodotto in un anno non corrisponde ad un analogo incremento del conto in banca. Solo questa prospettiva ci deve mettere in guardia che bisogna guardare alla gestione d’impresa in modo sistemico e ad ampio raggio temporale e non opportunistico e focalizzato sull’immediato: il piacere di un risultato economico è effimero, il benessere aziendale è un vero progetto di vita!