Quante volte abbiamo avuto l’impressione di aver conquistato un cliente e di aver soddisfatto una sua esigenza “consigliando” un prodotto ma poi, d’un tratto, lo stesso ringrazia e va via senza acquistare nulla?
Questo tipo di situazioni, purtroppo, capitano molto frequentemente e sono per tanti motivo di frustrazione e disaffezione verso una professione che negli ultimi anni ha visto stravolgere completamente le proprie certezze.
Molti sono i corsi, le metodiche vendute, le strategie promosse atte a contenere tale fenomeno, ma è anche vero che esiste una buona percentuale di farmacisti che avvertono un forte disagio nel momento in cui sentono di non essere portati o sufficientemente “efficaci” nella chiusura di alcune vendite.
Se ci fermassimo a un’analisi superficiale si potrebbero attribuire facilmente delle responsabilità all’e-commerce oppure a crisi e congiunture economiche negative, ma se facciamo un po’ di attenzione possiamo riflettere sul fatto che esistono dei professionisti della bellezza anche esterni al nostro settore (leggasi estetiste o parrucchieri) in grado di vendere pacchetti e consulenze da migliaia di euro agli stessi nostri clienti, e allora qualche domanda sarebbe giusto porsela.
Non si tratta di sminuire chi quotidianamente si impegna a lavoro per fornire una esperienza di acquisto “memorabile” ai propri clienti, ma più che altro di interpretare cosa viene percepito come “meno importante” da parte del nostro pubblico quando ci interpella.
Per cercare di trovare delle chiavi di lettura attuali e consistenti è necessario partire, a mio avviso, da un paio di assunti imprescindibili:
- La farmacia come istituzione è percepita dalla comunità come negozio della salute. Impossibile (e poco opportuno) tentare di modificare quella che è riconosciuta come l’essenza della nostra professione e identità.
- Anni e anni di monopolio hanno comportato un appiattimento generale delle competenze manageriali indispensabili per attrarre e mantenere la clientela al giorno d’oggi.
Alla luce delle evoluzioni del mercato – e cercando di recuperare quote di esso sempre più erose – ci si è immersi quindi in contesti commerciali e atteggiamenti che non sono perfettamente allineati al ruolo che tanti reclamano e rivendicano.
Il cliente, molte volte, è spiazzato o confuso di fronte a iniziative e proposte che dovrebbero essere di pertinenza di altri settori, ci si ritrova possibilmente in farmacia con professionisti in camice truccati per Halloween o con cappellini di Babbo Natale nelle ultime settimane di dicembre.
Faccio attenzione a non puntare il dito, qui non si vuole giudicare nessuno, ma, in fondo in fondo, è giusto puntualizzare che si tratta da una parte di autorevolezza e dall’altra di coerenza.
E parlando di coerenza sarebbe opportuno tarare nuovamente la proposta commerciale della farmacia su ciò che ci identifica meglio, che nella cosmesi significa ciò che può aiutare i nostri clienti a risolvere le proprie problematiche cutanee.
È possibile e frequente che ci siano delle vendite (anche consistenti) di prodotti alternativi al nostro “core business” e che queste generino fatturato, ma alla lunga si tratta di boomerang che torneranno indietro lasciando cicatrici evidenti.
In farmacia sarà più facile ottimizzare la gestione del reparto cosmetico (e l’approccio dei professionisti) se si riuscirà a sfoltire gli scaffali da tutto ciò che crea confusione e destabilizza il cliente, e che in buona sostanza ci allontana dalle competenze acquisite con gli studi.
I beauty corner interni alla farmacia ma sponsorizzati delle case cosmetiche “glamour”, così come le vetrine piene di calzature o servizi, inevitabilmente, portano alla strada della comparazione dei prodotti sui prezzi nella quale la farmacia perde senza alcun dubbio.
In un modello ideale il cliente entrando in farmacia troverà di fronte a sé un professionista attento e preparato in grado di aiutarlo a risolvere problematiche anche latenti o correlate a situazioni patologiche di cui è a conoscenza.
Gli spiegherà (sulla base delle sue competenze) il perché lui si trovi in quelle condizioni con un lessico “digeribile” e convincente, senza offerte, sconti o iniziative a premi.
Lo farà sentire accolto e importante e gli dedicherà il giusto tempo.
Proporrà una soluzione unica e irreperibile presso altre farmacie o internet perché ha capito che per essere unici bisogna essere diversi.
Lo seguirà nelle evoluzioni delle sue vicissitudini invitandolo a condividere i risultati.
In questo scenario, il cliente non esiterà e si lascerà guidare dal professionista di turno, così come avviene in altri contesti professionali non inquinati dal commercio.
Ma, si capisce, questo è un modello ideale, difficile da realizzare, più semplice provare con lotterie?
Ai posteri l’ardua (scontata) sentenza!