Dal modello teorico della farmacia a quello pratico (e viceversa)

Da farmacista curiosa, appassionata di comunicazione, lettrice instancabile di ogni articolo in cui si promette di ridare vigore a una professione antica piegata a logiche moderne e spesso lontane dalle sue stesse origini, mi sono trovata spesso a rimanere delusa da ciò che viene proposto da testate specializzate o sedicenti – e seducenti per certi versi – guru che si propongono alla categoria.

Ho trovato schemi studiati per la Gdo e forzatamente calati sul mercato della farmacia italiana, mi sono imbattuta in manager del pharma convinti di avere nelle mani strumenti invincibili per aumentare i fatturati della farmacia media italiana, in figure professionali a limite tra i trascinatori di folle e i ragionieri di cinematografica memoria.

Sono consapevole delle innumerevoli possibilità di crescita e miglioramento che il settore retail della farmacia possiede e di come gli strumenti perché questi diventino reali non sono nelle mani della maggior parte dei farmacisti titolari o collaboratori.

Guardo e studio la realtà proposta dai gruppi nazionali e internazionali che gestiscono le farmacie private e territoriali con l’obiettivo di analizzare e comprenderne il senso a lungo termine. Le lacune in materia gestionale che il nostro piano di studi prevede sono molte ed evidenti. Si lascia al singolo la voglia, la capacità e l’apertura mentale che serve a studiare un piano di marketing, a renderlo realtà calata nella singolarità della propria farmacia. Il farmacista “medio”, al più, si destreggia a tentoni in un mondo complesso in cui le incombenze professionali e burocratiche lasciano poco tempo ed energia per valutazioni e programmazioni commerciali ed economiche.

Ne consegue che le figure di cui parlavo sopra, capaci comunicatori e affascinanti espositori di idee trovano nei guizzi sperimentali di un titolare voglioso di miglioramenti terreno fertile per le loro proposte.

Proposte che spesso, però, hanno mutuato da schemi estranei al mondo della farmacia, scevri da elementi fortemente professionalizzanti e derivati da teorie che poco hanno da condividere con una realtà fatta di banco “etico”, termine di cui dovremmo riprenderci l’onore e gli oneri, realtà fatta di fiducia, di relazione, di contatto umano.

I teorici della farmacia dovrebbero più spesso girare al di là del banco sottobraccio ai professionisti a cui vogliono portare il verbo e noi farmacisti dovremmo imparare da loro a credere nella nostra “teoria”, quella che nasce dall’esperienza, dalla quotidianità, dall’ascolto delle esigenze.

Rivoltiamo le dinamiche: partiamo dalla pratica e facciamone teoria

Non permettiamo a nessuno di importare teorie dall’esterno con la pretesa che possano descrivere e migliorare quella nostra anima forte e duale. Siamo professionisti della salute che devono vendere il loro prodotto, non venditori che devono usare la loro immagine professionale per farlo.

Se Pitagora non avesse studiato il disegno di un triangolo avrebbe potuto pensare al suo teorema? E allora perché permettiamo a chiunque di poter parlare della farmacia italiana senza aver messo piede in una farmacia al di là del banco?

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Giuseppina Amato
Giuseppina Amato
Farmacista dal 2007, esercita la professione dividendosi tra il banco e il retro-banco della farmacia di famiglia, occupandosi di relazioni sia col pubblico sia con fornitori di prodotti e servizi. Ha coniugato la passione per le parole e per la comunicazione con l’attività lavorativa, pensando ad un modo nuovo ed assolutamente personale di intendere la professione. Ha sviluppato progetti legati a maternità e prima infanzia che caratterizzano oggi la sua attività.

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