La percezione del pubblico del professionista farmacista

Poche sere fa, dopo una cena con amici, durante il piacevole attardarsi attorno alla tavola, ancora apparecchiata e un po’ in disordine, durante quello che io definisco il festival dei luoghi comuni, si chiacchierava di professioni e cliché, lamentele tipiche di ogni categoria e relativa risposta avanzata dagli esponenti della stessa.

A tal proposito, un’amica mi ha messo davanti a un’osservazione diretta e molto poco politically correct, contravvenendo alla regola del vivere sociale secondo cui non si parla dei presenti: «Ma quando si dice che il farmacista è bottegaio, non ti dà fastidio?».

Ho ascoltato, metabolizzato e interiorizzato la domanda e poi ho risposto: «No, perché non sento mia questa definizione».

La mia risposta è stata pacata, come ho imparato dopo anni di training all’autocontrollo, e sincera perché rispecchia cosa penso davvero, ma ha comunque aperto in me un dubbio, ha attivato un processo di attenzione verso un argomento a volte sottovalutato.

Mi ha spostato dalla posizione egocentrica verso un punto di vista esterno che è sempre utile nell’effettuare autovalutazioni.

Dopo ragionamenti, elucubrazioni mentali, sillogismi aristotelici e abilità linguistiche e semantiche allo scopo messe in campo – che non riporto per amor di sintesi e perché ritengo che ogni lettore potrà arricchire questa riflessione con i propri – sono giunta alla mia personale conclusione, che condivido con i colleghi, su questo blog.

Ogni luogo comune ha una base empirica, una lettura esperienziale della realtà per certi versi semplice e immediata. A tale prima impressione deve sempre seguire un approfondimento puntuale e sistematico dei casi singoli che compongono la totalità della categoria presa in esame ma che non rispecchiano, viceversa, in modo bidirezionale, la visione globale della categoria.

La generalizzazione permette un importante risparmio energetico alle nostre energie cognitive, ma di contro riduce le possibilità di cogliere sfumature e differenze.

Di sicuro la nostra ibrida professione, tra sanità e commercio, tra bene dell’utente e necessità economiche dell’azienda, nel tempo ha assunto variegate forme tante quanti sono gli esercizi farmaceutici sul territorio e, in molti casi, oggettivamente non viene fuori un’immagine edificante.

Rimane responsabilità etica, professionale e personale del singolo titolare tracciare i limiti e gli obiettivi entro e verso cui si muoverà la propria attività.

Personalmente auspico più consulenze e meno proposte commerciali non inerenti alla salute, oltre che meno appiattimento dell’offerta e delle proposte.

Sogno un futuro in cui ognuno può emergere dalla generalizzazione e trovare un suo spazio preciso. A quel punto l’intera categoria darà anche una migliore immagine generale di sé.

Cominciamo curando le relazioni, le parole, gli arredi, i camici, l’esposizione, le proposte e diventiamo ciò che vogliamo essere e poi comunichiamolo al nostro pubblico di riferimento. La percezione che di noi hanno gli altri dipende da ciò che noi mettiamo in vetrina di noi stessi.

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Giuseppina Amato
Giuseppina Amato
Farmacista dal 2007, esercita la professione dividendosi tra il banco e il retro-banco della farmacia di famiglia, occupandosi di relazioni sia col pubblico sia con fornitori di prodotti e servizi. Ha coniugato la passione per le parole e per la comunicazione con l’attività lavorativa, pensando ad un modo nuovo ed assolutamente personale di intendere la professione. Ha sviluppato progetti legati a maternità e prima infanzia che caratterizzano oggi la sua attività.

3 COMMENTI

  1. Cara collega,

    Ho risposto ai due precedenti quesiti e con piacere rispondo alle sue riflessioni, specialmente stimolato dalle sue ultime tre righe! Il percepito del pubblico è relativo a quanto una persona, un’attività, un ente “seminano”! Negli anni ’50, quando la galenica costituiva la parte prioritaria del nostro lavoro, avevamo grande considerazione: si diceva che medico, farmacista e parroco erano le persone più importanti! Negli anni, con l’arrivo dell’industria farmaceutica, i prodotti confezionati e con le mutue che facevano a gara a chi offriva di più (INa, Inadel, Cassa Marittima, Triumphi, Edili, ecc.), il farmacista divenne un distributore di farmaci, e la redditività era così alta che quasi davano fastidio quei clienti che chiedevano consigli!

    Le cose sono cambiate: con difficoltà si sta inserendo la farmacia dei servizi, la medicina generale è in crisi e c’è la possibilità di diventare il primo riferimento per i cittadini nell’ambito della salute! Sta a noi cogliere l’attimo! Spero che i giovani si preparino a offrire risposte clinico-farmacologiche ai pazienti (interferenze, intolleranze, ecc.), di tipo specialistico (cosmetica, dietologia) e di tutte le attività nuove che si potranno “servire”. Potremmo non essere più bottegai; c’è il rischio che diventiamo dei piccoli supermercati di salute e benessere, ma spero che molti colleghi riescano a creare attività con grande carattere distintivo per la professionalità che esprimeranno.

    Cari saluti

  2. Magari fossi stata bottegaia. Non sarei stata costretta a rispettare pianta organica, sconti, turni, burocrazia sempre più ossessiva… e la mortificazione di non avere ben chiaro dove stava andando la professione che ho esercitato per 45 anni.

  3. Sono molto colpita dalla differenza di tono e di contenuto dei due commenti sincronici, ma distonici al contempo. In uno leggo calore e disillusione, nell’altro consapevolezza e speranza. Mi piace pensare che questo secondo atteggiamento possa essere una perfetta evoluzione del primo.

    Personalmente, credo nella possibilità di vivere la professione ad alti livelli, spendendo le proprie energie in una crescita potenzialmente tendente all’infinito. La nostra professione è tra le più complesse che io possa immaginare, includendo competenze tecniche, scientifiche e gestionali. D’altro canto, proprio per questo, offre molte possibilità di studio, miglioramento, specializzazione e differenziazione.

    Dalle difficoltà possono nascere opportunità. E chi le coglie, da bottegaio, assurge allo stato di professionista, non solo per diritto accademico, ma perché insignito dello stesso titolo dal proprio pubblico.

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