Counseling del farmacista: ascoltare per comprendere, non per rispondere

Iniziai a sentire il termine counseling riferito all’attività quotidiana del farmacista nelle aule universitarie dal prof. di Patologia generale. Lo ricordo bene, perché nella mia mente di giovane studentessa di Farmacia, ma da sempre affascinata dal mondo della semantica, mi interrogai sul senso stretto della parola e sulla possibilità che questo si concretizzasse nella mia futura quotidianità.

Adesso che sono passati un paio di decenni e ho fatto esperienza del termine, posso affermare che l’uso e l’abuso che se n’è fatto ha allontanato il significato che a esso attribuiamo da quello che è l’intrinseca azione sottesa all’attività del counselor.

Nell’utilizzo comune si traduce con counseling l’attività del consiglio tipica del farmacista al banco che, nella dinamica più semplice, prevede la proposta di un’azione da intraprendere in risposta a un’esigenza espressa dal paziente o cliente. È in questa semplicistica traduzione l’origine dello svuotamento del senso forte che in realtà il termine porta con sé.

Nel counseling propriamente detto, in realtà, l’attività del “facilitatore” è di accompagnare l’”utente” nella ricerca della soluzione migliore alla propria esigenza attraverso le tecniche di dialogo e comunicazione che hanno origine e trovano senso nella capacità di ascoltare l’interlocutore.

L’elaborazione del consiglio finale, la scelta della strategia terapeutica da perseguire deve partire da una buona comprensione dei bisogni manifesti e non del paziente. Diventa fondamentale allenarsi nell’ascolto attivo ed empatico del proprio interlocutore e nell’indagine dei bisogni, con domande costruite consapevolmente affinché emerga quanto più è possibile dalla conversazione. L’ascolto diventa finalizzato alla comprensione reale della persona nella sua interezza e non più esclusivamente a una raccolta di dati che consentono di elaborare la proposta.

Il cambio di paradigma è nel fine da perseguire: ascoltare per comprendere, non per rispondere. La buona notizia è che a essere buoni counselor si impara e che la consapevolezza di potersi migliorare anche in assenza di propensione naturale nota è il primo passo di cambiamento.

Qual è la tua esperienza?

Hai mai pensato che il tuo consiglio al banco potesse essere portato a un livello pro? Raccontami quanto da te sperimentato per arricchire insieme le nostre esperienze.

© Riproduzione riservata

Quanto riportato esprime contenuti ed opinioni personali dell’autore che ha scritto il post. Queste opinioni non coincidono necessariamente con quelle di FarmaciaVirtuale.it.

Ricevi gli approfondimenti per la tua professione

Riceverai periodicamente i contenuti e le analisi degli autori del Blog.

Puoi annullare l'iscrizione con un click. Non condivideremo il tuo indirizzo email per altre ragioni.
Giuseppina Amato
Giuseppina Amato
Farmacista dal 2007, esercita la professione dividendosi tra il banco e il retro-banco della farmacia di famiglia, occupandosi di relazioni sia col pubblico sia con fornitori di prodotti e servizi. Ha coniugato la passione per le parole e per la comunicazione con l’attività lavorativa, pensando ad un modo nuovo ed assolutamente personale di intendere la professione. Ha sviluppato progetti legati a maternità e prima infanzia che caratterizzano oggi la sua attività.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here