Il limite tra conoscenza del paziente e pregiudizio

L’attività di vicinato tipica di molte farmacie italiane pone i farmacisti in una posizione di assoluto privilegio rispetto all’utenza. A differenza delle farmacie poste all’interno di contesti quali centri commerciali, stazioni, aeroporti o in zone frequentate da avventori di passaggio, infatti, la farmacia di quartiere gode di un portfolio clienti costante e ben noto.

Inevitabilmente, nella quotidianità di volti sempre uguali, ci si adagia in un susseguirsi di dinamiche costanti, ritmiche, a volte noiosamente prevedibili.

L’essere umano, in una sorta di risparmio energetico delle proprie facoltà intellettuali, diventa inesorabilmente schiavo dell’abitudine, a tal punto da ridurre l’acuità dei propri sensi incasellando tutto ciò che vede in tabelle precostituite da opinioni ed esperienze di cui ha memoria.

Se da un lato, quindi, la possibilità di incontrare più volte la stessa persona dovrebbe consentire una conoscenza profonda, dall’altro questa reiterazione impoverisce la relazione stessa, riducendola a un esercizio meccanico. Poiché l’obiettivo del farmacista illuminato deve essere quello di elevarsi dal ruolo di venditore a quello di consulente (o counselor, per dirla con chi usa le parole meglio di me), è fondamentale mantenere alto il livello di attenzione in ogni nuova interazione, seppur con la stessa persona.

Le capacità attentive, di analisi e di empatia che mettiamo in atto con una persona che non conosciamo – per comprenderne le ragioni e le richieste – devono oltremodo essere attivate quando interagiamo con persone che invece crediamo di conoscere.

Spesso, infatti, l’idea che ci siamo costruita nelle diverse occasioni di contatto costituisce il più grande limite alla nostra attenzione nei confronti dell’altro, perché è a tutti gli effetti un pregiudizio.

L’energia richiesta è notevole e spesso non ne disponiamo a sufficienza durante le ore di frenetico lavoro, ma ritengo che una riflessione su questo aspetto possa consentire, se non di eliminare i pregiudizi – pratica quasi impossibile da attuare e probabilmente inutile nell’economia della relazione al banco –, almeno di renderci ricettivi ai campanelli che potrebbero attivarsi nel contesto, consentendoci di rimanere attenti e accoglienti verso la persona con cui interagiamo.

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Giuseppina Amato
Giuseppina Amato
Farmacista dal 2007, esercita la professione dividendosi tra il banco e il retro-banco della farmacia di famiglia, occupandosi di relazioni sia col pubblico sia con fornitori di prodotti e servizi. Ha coniugato la passione per le parole e per la comunicazione con l’attività lavorativa, pensando ad un modo nuovo ed assolutamente personale di intendere la professione. Ha sviluppato progetti legati a maternità e prima infanzia che caratterizzano oggi la sua attività.

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