«I farmaci biotecnologici sono nel tempo biosimilari di sé stessi»: sono rimasto sorpreso da questa frase pronunciata dal Prof. Fabrizio Condorelli, PhD, docente di farmacologia presso la Facoltà di Scienze del farmaco dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, in un corso rivolto ai farmacisti territoriali.
In particolare, lo stupore è ancor più aumentato dopo aver scoperto il caso rituximab. Questo anticorpo monoclonale di tipo chimerico rappresenta una pietra miliare in campo onco-ematologico in quanto ha consentito di diminuire notevolmente la mortalità causata da vari tipi di linfoma non Hodgkin e da leucemia linfatica cronica. Dal 1999 ad oggi rituximab è andato incontro a più di una revisione all’anno, per un totale di oltre 30 modifiche del processo produttivo. La maggioranza di queste approvazioni riguarda aspetti che non incidono sulla natura della molecola, se non per due revisioni importanti che hanno portato a due momenti critici di approvazione. La prima nel 2010 in cui l’azienda ha dovuto dimostrare, attraverso vari studi scientifici, che la molecola ottenuta dal nuovo processo produttivo fosse biosimilare alla precedente e la seconda con l’immissione in commercio della formulazione di rituximab sottocute, in cui l’azienda ha dovuto provare tramite uno studio “speciale” e “singolare” di comparabilità (comparability exercise) che il sottocute è biosimilare in tutto e per tutto alla formulazione endovenosa.
«Nel prodotto biotecnologico il procedimento, la sua solidità e la sua ripetizione sono elementi cruciali per il successo e per il risultato finale della produzione. Procedimento e prodotto rappresentano un connubio indissolubile», ha continuato il professor Condorelli.
Sulla base del caso Eprex (epoetina alfa) datato 2002 in cui il farmaco, approvato per via sottocutanea, aveva dimostrato una maggiore immunogenicità e, in particolare, la sostituzione dell’albumina con Polisorbato 80 aveva portato ad un aumento significativo di casi di Prca (anemia emolitica di tipo immunomediato), l’ente regolatorio europeo Ema decise di sottoporre questi nuovi farmaci ad un controllo continuo nel tempo attraverso studi di comparabilità come indicato nella direttiva ICH Q5e 2005.
Data la complessità di produzione di questi farmaci, il processo autorizzativo per un medicinale biosimilare è necessariamente più complicato e più lungo rispetto a quello di un farmaco equivalente, per il fatto che la “similarità” deve essere dimostrata non solo attraverso la sovrapponibilità qualitativa, ma anche mediante studi clinici di efficacia e di sicurezza.
Il farmaco biosimilare è “simile” ai prodotti biologici e biotecnologici originatori di riferimento a brevetto scaduto. Sulla base di questo concetto, bisogna tenere bene a mente che intercambiabilità non significa sostituibilità. E’ chiaro che, nonostante il position paper di Aifa consideri i prodotti biosimilari come intercambiabili con l’originator, il farmacista non può effettuare la sostituzione automatica del biosimilare, in quanto compito esclusivo del medico.
Ecco perché, ad esempio, nel caso di dispensazione di eparina in Dpc (Distribuzione per conto), in ricetta deve essere inserito il nome commerciale Inhixa e non può essere indicato solo il principio attivo Enoxaparina. In questo caso potrà essere dispensata solo la specialità biosimilare e non l’originator Clexane.
La dispensazione dei farmaci innovativi in farmacia territoriale: utopia o possibilità concreta?
In una delle slide fornite dai professori ospiti del corso era presente una tabella molto interessante riguardo ai farmaci al mondo che hanno guadagnato di più nel 2018. Al secondo posto troviamo Eliquis (apixaban), al decimo vi è Xarelto (rivaroxaban), mentre Lyrica (pregabalin) è alla quindicesima posizione. Mi ha colpito il fatto che tre molecole di sintesi che dispensiamo in farmacia, tra cui una in convenzionata, siano in questa classifica. Tutti gli altri farmaci sono invece ottenuti con processi biotecnologici.
Sono andato a ripassare la lista di farmaci presenti in Dpc nella mia regione, andando ad individuare alcuni farmaci biologici, biotecnologici e biosimilari che dispensiamo attraverso questo canale di distribuzione. Oltre ad insulina, enoxaparina e altre eparine, in farmacia possiamo dispensare anche epoetina alfa e somatropina, ad esempio.
Cosa manca in lista? Sicuramente mancano gli anticorpi monoclonali. Questi anticorpi, essendo molecole di grandi dimensioni, per natura non si prestano all’assunzione per via orale, ma in quasi tutti i casi vengono somministrati per via endovenosa. Negli anni, però, sono state commercializzate varie versioni per via sottocutanea che, a mio avviso, potrebbero entrare nella lista dei farmaci dispensabili in farmacia territoriale! Probabilmente sarà molto difficile poter dispensare rituximab per via sottocutanea in farmacia, però potrebbe essere più facile una futura dispensazione della categoria degli anticorpi anti-Tnf, per esempio etanercept e adalimumab.
Infine, una menzione ai fattori di crescita: in Dpc abbiamo già in tabella le epoetine, manca però il filgrastim, analogo del G-Csf utilizzato in oncologia contro la neutropenia febbrile dopo somministrazione di chemioterapici, al fine di riportare la conta dei neutrofili ad un valore corretto. Il filgrastim, ormai presente in forma biosimilare già da qualche anno, è commercializzato anche per via sottocutanea. E’ stata poi immessa in commercio anche una forma farmaceutica di filgrastim con maggiore emivita, con il vantaggio di rendere sufficiente una singola somministrazione di questo farmaco dopo ogni ciclo di chemioterapia: parliamo del filgrastim pegilato. Dal 2018 sono presenti biosimilari di questa molecola, anche in forma sottocutanea per autosomministrazione. Di recente, solo l’originator ha commercializzato Pegfilgrastim somministrato attraverso un device programmabile e ricaricabile da un operatore specializzato e applicato sul paziente mediante un cerotto adesivo.
Il farmacista e la farmacovigilanza attiva
A partire dal 2016, sulla confezione di tutti i farmaci biologici di nuova commercializzazione è applicato un triangolo nero (black triangle) per i 5 anni successivi all’immissione in commercio. Questo perché tutti i biologici hanno la capacità di scatenare reazioni di immunogenicità, a volte talmente rare che possono non essere rilevate nel trial clinico. Potrebbe succedere che un biosimilare possa presentare ancora il triangolino sulla confezione, mentre un originator non più, oppure che dopo uno switch farmacologico fra due biosimilari uno lo possieda e l’altro no.
Qual è il compito del farmacista territoriale? Anche se non tocchiamo con mano questi farmaci innovativi, possiamo ugualmente svolgere un ruolo importante dando serenità al paziente rispetto al dosaggio e allo schema di somministrazione, sottolineando con sicurezza al paziente che il biosimilare proposto dallo specialista, anche se appare diverso esteriormente, è completamente sovrapponibile all’originator, infine rimanendo costantemente aggiornati così da poter rispondere ai quesiti posti dal paziente stesso (significato del triangolo nero, per esempio).
Potremmo anche ricoprire un ruolo fondamentale di farmacovigilanza attiva. Pochi mesi fa l’Emilia Romagna ha aderito al progetto Vigirete, che si pone come obiettivo primario quello di creare una rete di farmacie territoriali esperte e attive nel campo della farmacovigilanza, con lo scopo di segnalare sospette reazioni avverse. Quest’ultime potrebbero essere rappresentate da reazioni allergiche causate da somministrazione di farmaci biotecnologici. Dobbiamo tenere a mente anche il possibile aspetto infettivo: la somministrazione di questi farmaci in ambito reumatologico può riaccendere, ad esempio, patologie infettive di natura granulomatosa, come la tubercolosi. Sarà importante ricordare al paziente di riferire al medico di essere stato in eventuali ambienti con alta probabilità di infezione.
Con la possibile imminente campagna vaccinale in farmacia, esiste una ragionevole possibilità di poter somministrare i famosi vaccini a mRNA contro il Covid-19, realizzati con tecniche biotecnologiche. Potrebbe rappresentare un’occasione di riduzione del distacco da questo mondo di farmaci, a noi quasi sconosciuti.
In questo anno e mezzo la nostra professione si è plasmata, il nostro metodo di lavoro è cambiato notevolmente, così come i servizi offerti all’interno della farmacia. In poche parole siamo andati incontro alla nostra più grande revisione degli ultimi anni.
Considerando che Humira (adalimumab), farmaco più venduto al mondo, dal 2003 ad oggi ha affrontato e superato 73 revisioni e che Remicade (infliximab) dal 1999 è andato incontro a più di 50 modifiche del suo processo produttivo, la nostra categoria professionale sarà in grado di continuare a trasformarsi con estremo successo nonostante i cambiamenti così repentini dei meccanismi di lavoro?