A noi farmacisti, neofiti delle regole del marketing e desiderosi di migliorarci in questo ambito, hanno spiegato negli ultimi decenni che il pubblico va educato – sia in maniera evidente ma anche con sottili trucchi psicologici – nel riconoscere un logo, un brand, un marchio, a memorizzarlo fino a sentirlo familiare, rassicurante emblema di qualità e affidabilità.
Abbiamo cercato i migliori designer per studiare quello più affine alla nostra mission, quello più gradevole dal punto di vista estetico e più riconoscibile fra gli altri e poi abbiamo stampato biglietti da visita, carta, sacchetti, bollini adesivi patinati, fino a cambiare l’insegna della nostra farmacia.
Tra le altre tante nozioni abbiamo imparato a disquisire di branding, naming, claiming, immagini condivise.
E, in alcuni casi, abbiamo fatto un ottimo lavoro.
Oggi, in epoca di affiliazioni, catene vere o pseudo tali, reti che lasciano più o meno identità alla singola farmacia indipendente, rifletto sul valore di un simbolo, riconoscibile, sancito da leggi e che accomuna davvero tutte le farmacie.
Parlo della croce, vessillo luminoso che si erge fulgido e verde a segnalare al passante che lì è presente una farmacia, e dentro un farmacista, foriero di competenza sul bene necessario, il farmaco.
Credo che in alcuni casi dovremmo uscire anche noi per strada a osservarla, la nostra croce verde, come si osserva un monumento, un obelisco, una bandiera.
E in quel momento, in sacro atteggiamento di preghiera, ritrovare l’essenza della professione e sentirne nuovamente il calore e l’onore, ma anche il peso e la durezza perché sia chiaro che quella luce, quella croce verde sarà l’unico logo universalmente riconosciuto e che ci farà assurgere agli occhi del cittadino al ruolo di “istituzione”. Al di là di ogni ragionevole dubbio.
Vero.
Grazie