«Cosa chiede un farmacista a un partner commerciale?»
Mi sono posta questa domanda più volte, soprattutto quando, nel compilare un ordine o durante le trattative per l’introduzione di nuove linee in farmacia, ho notato che l’unico aspetto messo in luce è quello economico.
Ok, forse non è proprio l’unico: in alcuni casi, infatti, vengono proposti corsi Ecm o giornate promozionali da svolgersi in farmacia. Ma anche in quel caso, l’obiettivo rimane quello di evidenziare la possibilità di assolvere gratuitamente a un obbligo (che altrimenti comporterebbe un esborso) o di incentivare le vendite, aumentando così gli introiti.
È chiaro che un’azienda-farmacia si basa sulle entrate e che il bilancio deve fare i conti con le uscite. Ma io sono una testarda idealista e mi chiedo: agli occhi dell’industria, la partnership con il farmacista si riduce davvero alla mera compilazione della partita doppia?
Sogno un mondo in cui il farmacista che crede nella sua attività venga trattato da professionista qual è, e non da commerciante in camice bianco. Lo scontro con la realtà brucia sulla mia pelle ogni volta che mi confronto con i rappresentanti di molte aziende che si fregiano dell’appellativo di “partner della mia farmacia”.
Ho avuto modo di interagire con realtà diverse, anzi, con le persone che vi operano a ogni livello: agenti, area manager, fino a figure dirigenziali. In tutte le occasioni, ho ricevuto elogi per il mio lavoro (se mi segui, sai che mi occupo di molto altro oltre alla “semplice” dispensazione del farmaco). Ma ogni volta, a questi riconoscimenti è seguita una proposta commerciale, magari “speciale”, ma mai un vero progetto di partnership.
La risposta più frequente – e la più triste per la nostra categoria – è stata: «Ma i tuoi colleghi vogliono solo parlare di sconti». E ancor più desolante è che questa stessa risposta mi è stata data da tanti, sia da stakeholder del farmaco che da altre categorie collaterali.
Allora, purtroppo, ne prendo atto. Sono davvero io quella farmacista “anomala” che, all’extra 5%, preferisce una mano tesa e un affiancamento concreto in un progetto di crescita? Sono certa di non essere l’unica, sono sicura che almeno un collega che mi sta leggendo la pensa come me.
Ma resta il fatto che scrollarci di dosso questa visione – e parlo dell’intera categoria – non sarà semplice né immediato. Facciamo un esame di coscienza collettivo e alziamo la testa. Oppure rimaniamo consapevolmente commercianti in camice bianco.
A me, però, questo camice va stretto.