Ddl autonomie differenziate e il modello di farmacia italiana

Argomento del giorno: l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del Ddl Calderoli o sull’autonomia differenziata. Con questo disegno di legge vengono concesse maggiori autonomie alle Regioni e l’obiettivo riportato dal Presidente del Consiglio è quello di «Costruire un’Italia più unita, più forte e più coesa».

Pur se parlare di autonomia regionale abbraccia tanti campi della vita sociale ed economica, tutta la discussione si concentra sull’aspetto sanità che, a dire il vero, già gode di un’ampia autonomia regionale. In sanità l’Italia viaggia a due o più velocità e le differenze sono sotto gli occhi di tutti, a prescindere dal Ddl Calderoli. Certo la paura è quella di aumentare ancora di più la forbice delle prestazioni. Si sbandiera la promessa che questo non dovrebbe succedere.

Nasce un nuovo acronimo, Lep, che dovrebbe sostituire il pensionando Lea. Dai Livelli essenziali di assistenza (Lea) alla base delle pagelle delle Regioni ‒ con bocciature per le Regioni “inadempienti” e promozioni più o meno facili per le “adempienti” ‒ si passa a un concetto forse più realistico dei Livelli essenziali di prestazioni (Lep) con un ambito di valutazione e analisi molto più a 360 gradi. La paura è che chi era inadempiente con i Lea lo sarà ancora di più con i Lep e chi aveva appena raggiunto la sufficienza con i Lea possa sprofondare di nuovo nella zona rossa. Ci dovrebbero essere sei mesi, forse per capire meglio.

Non entriamo nella bagarre che si è creata e che animerà il dibattito almeno fino alle elezioni regionali di metà febbraio, ma una considerazione andrebbe fatta. Perché la politica e le istituzioni non guardano un momento e senza pregiudizi e preconcetti al “modello di farmacia in Italia”? L’assistenza farmaceutica ai cittadini italiani è fondamentalmente simile da Nord a Sud, ma soprattutto gode di un livello di soddisfazione mediamente molto alto ovunque.

Un modello basato sulla prossimità, sulla competenza, sulla disponibilità e sulla cooperazione con le istituzioni. Oggi le farmacie forniscono un servizio di tipo sanitario alla collettività, hanno dimostrato di essere pronte e attive anche di fronte alle emergenze che hanno messo in ginocchio altri comparti, non hanno chiesto nulla se non che venisse riconosciuto un ruolo. E quando questo si è verificato la risposta è stata corale, uniforme e soprattutto produttiva di effetti reali e tangibili.

Non pensiamo solo ai tamponi e alla emergenza pandemica. Un esempio: la farmacia in Italia fornisce farmaci innovativi ai pazienti gestendo in maniera uniforme la distribuzione in nome e per conto pur nelle differenze tariffarie regionali, che pure andrebbero superate. Il paziente non deve più andare in ospedale ma va sotto casa. Dai cinque ai dieci minuti è il tempo medio che un paziente impiega per raggiungere la sua farmacia. Questi possono essere indicatori di prestazione che la farmacia già eroga soprattutto al servizio di una popolazione anziana e spesso affetta da patologie croniche come quella italiana.

E allora, fermo restando tutte le discussioni più o meno legittime o più o meno strumentali sul Ddl Calderoli, non sarebbe forse utile che si investisse sulla Farmacia e su quella Farmacia dei servizi che può rappresentare un anello essenziale nella gestione della sanità italiana? Pensiamo ai tre cardini del Sistema sanitario italiano ‒ universalità eguaglianza ed equità di accesso ai servizi ‒ e pensiamo a cosa è già oggi la farmacia italiana e cosa potrebbe rappresentare nel prossimo futuro.

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Carlo Ranaudo
Carlo Ranaudo
Professore a contratto dal 2005 presso le Facoltà di Farmacia delle Università di Napoli Federico II, Salerno e Messina. Dirigente di diverse aziende farmaceutiche e consulente nel mondo pharma.

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